- 17 Maggio 2021
- Postato da: Roberta Amicucci
- Categoria: Cultura del lavoro, Eventi, SPAZIO PRAIRIE
Il talento ribelle alla base dell’innovazione
Cosa hanno in comune Camp e Kalanik di Uber, Steve Jobs e persino i fratelli Wrigh? Sono esempi di ribellione e la prima cosa a cui si sono ribellati è il “no, è impossibile!” che ricevevano ogni volta che proponevano la loro visione.
Forse non vorresti uno come loro come collaboratore, per non dover gestire personalità così individualiste. Ma ho una buona notizia: non tutti i ribelli innovatori sono così indipendenti. Gli esempi più famosi vengono da inventori e imprenditori, mentre sono restati nell’ombra molte altre menti che hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere… e molti erano i soci operativi spesso disconosciuti di questi “geni”.
C’è di più, le nuove generazioni (ne abbiamo parlato nell’articolo precedente) stanno dando dimostrazione di unire alla lora una spiccata autostima anche l’esigenza di dare e condividere.
Molti giovanidi fatto non solo vivono nel noi (con alcune disfunzioni, come l’ossessione per il like, da indirizzare…) ma per il noi, portando avanti una etica che potremmo riassumere con la parola “ecologica”, che include sostenibilità e impatto positivo a tutti i livelli. Questo impatto è ragionevolmente possibile ad ampio raggio solo grazie alla collaborazione tra persone e con le risorse di una organizzazione. Si può essere visionari carismatici come Jobs oppure, meglio per colleghi, capi e collaboratori, abili aggregatori di competenze e personalità differenti intorno a un progetto comune (di qui l’importanza, che non smetteremo di sottolineare abbastanza, di proposito e valori).
Senza questo tipo di mentalità, a un tempo perseverante fino all’arroganza, ma anche audace, non è possibile sopravvivere in un contesto Vuca incessantemente cambiante.
Come integrare i ribelli
Parlando con alcuni colleghi che hanno a che fare con giovani e talvolta giovanissimi (a scuola ovviamente), si nota una loro certa “fragilità”. Definiamo così la difficoltà a gestire la mancanza di apprezzamento e la conseguente frustrazione. Appare come una incoerenza rispetto all’autostima, ma in realtà ha molto senso.
Per comprenderlo, gli ultraquarantenni devono rendersi conto che è finito il tempo delle analisi raffinate e delle strategie di dettaglio. Le idee, i prodotti o i servizi, se funzionano su carta, non necessariamente funzionano sul mercato. Vent’anni fa, le dotcom sembravano dover rinnovare la nostra vita dall’oggi al domani, mentre molte di loro hanno fallito ancora start-up. Ci ricordiamo dei pochi casi eclatanti di successo, ma la vertià è che n un contesto non solo variabile nel tempo, ma anche nello spazio (la C di complesso in Vuca), non c’è computer in grado di predire l’impatto di una invenzione anche brillante (vedi la legge di Amara sulla imprevedibilità del successo delle innovazioni). Per questa ragione, ci si dovrebbe impegnare a non giudicare le idee in partenza, né frustrare chi le ha concepite, ma piuttosto gratificare la proposta in quanto tale e lasciare che sia “il mercato” – per dargli un nome – a fornire il verdetto.
Allo stesso modo, è necessario che la generica “resilienza“, nuovo feticcio del coaching e della consulenza si traduca in cultura e processi in grado di facilitare la prototipazione e il test così come la ritirata strategica. Vuol dire che chi trionferà sarà capace di stare nella frustrazione degli insuccessi e al tempo stesso nella paranoia (vedi Jim Collins in “Great by Choice”) di predisporsi alla fine rapida di una moda.
Hiring by values
Una volta che proposito, visione, valori e cultura sono ben chiari per coloro che già appartengono alla organizzazione, se si vuole attrarre e trattenere i talenti più disruptive, anche le assunzioni e gli incentivi devono essere in linea con i principi dell’impresa.
C’è infatti un solo modo per sopravvivere a fallimento e paranoia, appassionarsi del processo stesso di ideazione, prototipazione e test. Non bastano i premi: raggiungere gli obiettivi o meno è diventato insondabile. Bisogna godere nello stare nel flow quando si lavora, e provare e ricevere soddisfazione a ogni buon lavoro a prescindere.
Fare questo salto di mentalità è sfidante, ma al tempo stesso è relativamente poco invasivo: è un cambiamento di software e noi coach siamo qui per questo…